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A chi spetta l’assistenza igienica ai ragazzi con disabilità?

L’assistenza di base spetta alla scuola ed è affidata ai collaboratori scolastici.

L’ausilio materiale “non specialistico” agli alunni con disabilità rientra nella specifiche professionali di tutti i collaboratori scolastici.

CCNL contratto-scuola-2019-2021  pag 207
«Al fine di rendere effettivo il diritto all’inclusione scolastica, presta ausilio materiale non specialistico agli alunni con disabilità nell’accesso dalle Aree esterne alle strutture scolastiche, all’interno e nell’uscita da esse, nonché nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale».

L’assistenza per la comunicazione rientra invece nell’assistenza specialistica, di competenza dell’Ente Locale.

La differenza è ben spiegata nella Circolare Ministeriale 3390 del 2001.

La normativa si basa prima di tutto sul contratto di lavoro della scuola.

Il DL 66/17 riafferma all’art. 3 c. 2/c l’obbligo dello Stato di fornire alle scuole i collaboratori scolastici per occuparsi anche dell’assistenza degli alunni con disabilità.

E’ compito e responsabilità del dirigente convincere eventuali collaboratori riottosi, anche con incentivi extra o spostando il personale tra i vari plessi a seconda dei bisogni, non degli insegnanti e tanto meno dei genitori.

Ricordiamo quello che diceva la vecchia nota del 2001, pag. 2, sempre valida rispetto ai principi e alle responsabilità:
«Il dirigente scolastico, nell’ambito degli autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, assicurerà in ogni caso il diritto all’assistenza, mediante ogni possibile forma di organizzazione del lavoro (nel rispetto delle relazioni sindacali stabilite dalla contrattazione), utilizzando a tal fine tutti gli strumenti di gestione delle risorse umane previsti dall’ordinamento»

La risposta di AID alla campagna stampa sulle “troppe” diagnosi di DSA

Fonte: AID

La posizione di AID, in risposta alla campagna stampa di questi  giorni

A proposito di false diagnosi nel DSA

Di fronte ad una campagna stampa che considera i disturbi di apprendimento tra gli studenti italiani un problema di medicalizzazione della scuola e un prodotto di false diagnosi, l’Associazione Italiana Dislessia tiene a ribadire quanto finora dimostrato dalla scienza.

Giuseppe Aquino, formatore tecnico AID e membro della Commissione Esecutiva del nuovo progetto di produzione di Linee Guida sui DSA, fa chiarezza sulle diagnosi dei DSA.

L’approvazione della legge 170/2010 sancisce il riconoscimento dei DSA e fuga ogni dubbio a chi ancora considera i DSA come una “scusa”. La norma nasce con l’obiettivo di tutelare questi studenti, dando risposte alle loro specifiche caratteristiche di apprendimento. Tale legge, inoltre, parla di finalità che vengono espresse come “garanzie”, come “impegno formativo” con individuazione di compiti e assegnazione di ruoli. Alla scuola spetta una posizione centrale nella presa in carico degli alunni e degli studenti con DSA (L. Ventriglia, 2013).

Gli alunni/studenti con DSA per poter usufruire delle misure previste dalla Legge 170/2010 devono essere in possesso di una diagnosi certificata di DSA.

La diagnosi di dislessia in Italia viene eseguita alla luce delle raccomandazioni cliniche fornite dalle Conferenze di Consenso (2007, 2010, 2011). In particolare, le raccomandazioni prodotte dalla Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità sono “basate sui più aggiornati dati scientifici di prova adattati al contesto italiano secondo il giudizio di una giuria multidisciplinare, rappresentativa dei diversi possibili approcci e interessi al tema” (C.C. I.S.S., 2010).

La diagnosi, quindi, viene effettuata da un team multiprofessionale (NPI, psicologo, logopedista) secondo precisi criteri diagnostici e, per evitare la rilevazione di falsi positivi, prevede l’utilizzo di test standardizzati, sia per misurare l’intelligenza generale, che l’abilità specifica.

La definizione della diagnosi avviene in una fase successiva all’inizio del processo di apprendimento scolastico. É necessario, infatti, che sia terminato il normale processo di insegnamento delle abilità di lettura e scrittura (fine della seconda primaria) e di calcolo (fine della terza primaria)”(C.C. I.S.S., 2010). Prima di questa età l’elevata variabilità interindividuale nei tempi di acquisizione delle suddette abilità non permette di utilizzare i valori normativi di riferimento con le stesse caratteristiche di attendibilità riscontrate a età superiori (Raccomandazioni per la pratica clinica DSA, 2009).

Poiché le abilità scolastiche sono distribuite lungo un continuum, non vi è una soglia naturale che può essere utilizzata per stabilire la presenza di un disturbo. Per una maggiore certezza diagnostica e per evitare il pericolo che la diagnosi possa essere inutilmente inflazionata, le raccomandazioni cliniche delle Consensus Conference hanno stabilito soglie più rigide rispetto ad altri paesi per poter considerare deficitaria una prestazione. Infatti può essere considerata insufficiente una performance che si colloca, per la rapidità, al di sotto di 2 deviazioni standard dai valori normativi attesi per l’età o la classe frequentata e al di sotto del 5° percentile per i punteggi di accuratezza.

Se la diagnosi viene eseguita secondo i criteri suddetti, non può esserci il rischio di diagnosi facili.

La questione dislessia può sembrare sovradimensionata. Sicuramente il numero di alunni con certificazione di Disturbi Specifici di Apprendimento, come rivelano i dati forniti dal MIUR, è in significativo incremento.

Tra gli anni scolastici 2010/11 e 2014/2015 le certificazioni sono cresciute, ma questo accade anche perché dopo la legge 170 del 2010, la scuola ha un ruolo determinante nella presa in carico degli alunni con DSA e ad essa sono state richieste competenze organizzative, metodologiche, didattiche e valutative che hanno portato ad una maggiore attenzione nei confronti degli alunni con difficoltà di apprendimento e quindi ad una maggiore individuazione di casi sospetti di DSA e alla loro segnalazione alle famiglie con il conseguente riferimento ai servizi sanitari per avviare il percorso per una eventuale diagnosi (come indicato dall’Articolo 2 comma 1 del D.M. N. 5669 12/7/2011).

In ogni caso la percentuale degli alunni con diagnosi di DSA nella scuola italiana, come risulta dai dati ufficiali del MIUR 2014/2015, non è del 18-20%, come qualcuno afferma, ma supera di poco il 2%, a fronte di una incidenza media che, secondo le indagini epidemiologiche (così come riportato dai dati scientifici nazionali e dalle Linee Guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità), si attesterebbe intorno al 3,5% dell’intera popolazione scolastica. Non ci troviamo, quindi, di fronte ad una sovrastima dei casi di dislessia, quanto, piuttosto, alla presenza ancora di una grande parte di sommerso, oltre l’1,5%.

N.d.r. in base alle ultime statistiche ufficiali del MIUR (AS 2015/2016) la percentuale degli alunni con diagnosi di DSA nella scuola italiana si attesta intorno al 3% dell’intera popolazione scolastica.

 

Il dislessico e lo studio delle materie musicali

La legge n. 170 dell’8 ottobre 2010 riconosce i quattro sintomi principali dei DSA: dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, e aggiunge che questi quattro sintomi “possono sussistere separatamente o insieme”.

Come è noto agli specialisti di tutto il mondo, a questi sintomi principali si aggiungono quasi sempre, anche in questo caso separatamente o insieme, alcuni sintomi secondari che influiscono altrettanto pesantemente sul rendimento scolastico e sulla quotidianità, e cioè:

1. scarsa memoria a breve termine (presente nella quasi totalità dei dislessici);

2. scarsa coordinazione binoculare;

3. difficoltà nel ricordare e nominare le sequenze (giorni della settimana, mesi, numeri, quindi anche il nome delle note musicali, ma non il suono e la collocazione sul pentagramma di ciascuna nota);

4. difficoltà di organizzazione del pensiero e delle attività quotidiane, quindi necessità di maggiore tempo sia per riflettere, sia per verificare il lavoro svolto.

Le conseguenze di questi sintomi sul rendimento scolastico dei dislessici sono ben note, ma ora se ne conoscono gli effetti anche sull’apprendimento di tutte le attività musicali:

• studio dello strumento – la dislessia rende faticosa la decodifica, l’apprendimento e la realizzazione immediata e simultanea di tutti i segni dello spartito (alterazioni, legature, segni di articolazione, dinamica, gruppi irregolari, ecc .. ) che il dislessico riesce a integrare nell’esecuzione solo attraverso uno studlo costante e ripetuto, il che comporta tempi di preparazione più lunghi della norma.

• materie compositive e teoriche scritte (tutte le prove di composizione scritta, analisi, teoria e analisi, armonia principale, armonia complementare, 2^ prova scritta di teoria e analisi del liceo musicale).

Il dislessico memorizza a fatica i contenuti teorici basilari, e cioè scale, intervalli, alterazioni, tonalità, modulazioni, ecc., e costruisce gli accordi con difficoltà poiché le note che li formano, i gradi che queste note rappresentano nella tonalità e la tonalità stessa ogni tanto tendono a “svanire” o a confondersi nello sua mente, anche quando tali elementi sono ben presenti nella sua memoria a lungo termine.

Per procedere deve “ritrovare” questi elementi e tenerli sotto controllo affinché non sfuggano nuovamente. Ciò comporta tempi di elaborazione più lunghi della norma e controlli defatiganti e ripetuti che mettono a repentaglio il completamento dello prova.

Fonte: Nota ministeriale dell’11 maggio 2011